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Atrio ottagonale o Tempio di Apollo

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L’appartamento al piano nobile, decorato in occasione delle nozze tra Francesco e Giacinta Marchetti degli Angelini tra 1804 e 1805, è composto da stanze di rappresentanza e stanze dedicate alla vita privata. Il grande salone di ingresso fu concepito dall’architetto Antolini come il cuore della residenza, primo luogo in cui ricevere gli ospiti in occasione di balli, feste e banchetti, simbolo dello status sociale e dell’importanza del Milzetti nella società faentina dell’epoca.
L'ampia sala quadrata è resa ottagonale scantonando gli angoli con otto colonne corinzie binate che reggono la trabeazione e suggeriscono l'idea di un deambulatorio attorno al corpo centrale.
La grande volta ad ombrello presenta al centro Apollo che guida il carro del Sole, negli spicchi grottesche a monocromo e alla base sedici lunette con i dodici segni zodiacali alternati alle stagioni corrispondenti. Alle pareti, in alto, un fregio a stucco con grifi; sotto, tre grandi pannelli che narrano la storia di Fetonte, figlio di Apollo, che guidò il carro del Sole rischiando di incendiare terra e cielo, e per questo fulminato da Giove. Da ciò si coglie un messaggio politico: gli Stati devono essere guidati da uomini saggi e consapevoli, mentre Fetonte è l’emblema della presunzione, di chi aspira ad imprese al di sopra delle proprie capacità.
I tre grandi bassorilievi, per i quali esistono i disegni preparatori di Felice Giani, sono stati eseguiti a stucco da Antonio Trentanove (due pannelli) e dai fratelli Ballanti Graziani, che avviano in palazzo Milzetti la loro partecipazione alla bottega di Giani. A questi ultimi spetta anche il fregio con i grifi affrontati che corre lungo la trabeazione, motivo desunto dall'antichità romana e realizzato ricorrendo ormai all'uso degli stampi.
Nella sala si ammirano i mobili originali: tre divani (il quarto manca) con braccioli a delfino e due console con la lira, strumento di Apollo. Nell'arredo originale oltre ai quattro divani agli angoli erano presenti quattro grandi candelabri bianchi e oro (perduti), alti sullo zoccolo, tra le colonne binate, come documentato dalla Pinacoteca che conserva il disegno eseguito dal vero da Romolo Liverani.

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