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Domus V secolo d.c.

via Dogana 2

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Il più imponente edificio faentino di epoca tardo romana, almeno per quanto riguarda la parte scavata, è stato messo in luce nel 1970-71 in via Dogana. Si tratta di una dimora con le caratteristiche tipiche dell’autorità pubblica in fusione con il potere economico privato. La domus si affacciava sulla via Emilia e venne riedificata su una precedente struttura abitativa di epoca tardo repubblicana. Il precedente edificio risulta però completamente distrutto dalla nuova edificazione del periodo tardo imperiale.
La parte scavata comprende quattro ambienti e parti di altri due, ma la costruzione si estendeva certamente sotto via Dogana con altre stanze non esplorate. Tutti gli ambienti rinvenuti sono ambienti di rappresentanza, ma dell’edificio dovevano far parte anche le stanze di abitazione ed i servizi, nonché una certa quantità di cortili e spazi aperti, fondamentali in una casa di quest’epoca.
Nella parte ovest è dello scavo è presente una grande aula rettangolare di metri 9 x 15, chiusa sul lato corto a nord da una abside appena sopraelevata. La grande aula comunica sul lato corto a sud con un ambiente vestibolo anch’esso rettangolare. Sul lato destro a est della grande aula vi sono altri tre ambienti, due solo dei quali sono stati scavati.
Tutte le stanze hanno pavimenti a mosaico a tappeti policromi di vario tipo. Tutte le tessere sono ricavate nella maggior parte da pietre italiane. Sono usati in maniera abbondante i sassi di fiume con tutte le loro sfumature, dal giallo al verde, all’azzurrino, al grigio nero. I colori rosa ed i rossi sono dati dalle varie sfumature del marmo rosa e rosso di Verona.
I bordi delle figure possono essere evidenziati con il nero d’Italia, mentre i fondi bianchi sono ottenuti con il calcare o la pietra bianca. I toni rosso scuri sono ottenuti con il porfido o con marmi africani. Sono presenti in piccola parte tessere di serpentino; rarissimo è l’uso di marmo greco, alcuni toni rosso scuri sono però ottenuti con il porfido e con altri marmi rossi africani.

Il mosaico della grande aula absidata è di tipo geometrico a colori leggeri ed ha un disegno notevolmente complesso. Partendo dall’esterno del mosaico troviamo una cornice con treccia a tre capi che racchiude una fascia composta da cerchi alternati ad ellissi, che varia, nella linea più interna, con l’inserimento di quadrati. Le cornici dei singoli motivi sono collegati da una fitta serie di complessi annodamenti che spesso riempiono anche l’interno degli stessi elementi, campendoli con intrecci variatissimi. Il centro dello schema compositivo è formato da un quadrato con cornice formata da losanghe congiunte, con negli angoli cerchi contenenti vasi baccellati ed ansati. La parte centrale del quadrato è costituita da un cerchio contenente otto cubi prospettici uniti a stella; l’interno dei singoli elementi è campito con riempitivi variatissimi, che in pratica restituiscono una campionatura completa delle tipologie  musive usuali nel V secolo.
L’abside dell’aula, rialzata, presenta un pavimento con un semplice motivo geometrico, ad ottagoni che si intersecano fra di loro, (perché sono parzialmente sovrapposti) in modo da formare esagoni allungati e quadrati.

Tra le stanze laterali ad est quella centrale è di maggiori dimensioni rispetto alle altre e nel suo pavimento mosaicato vi torna lo stesso schema dell’abside, con la differenza che i lati dei singoli elementi sono distinti da una treccia a torciglione. La stanza presenta tre cornici concentriche, oltre quella interna a treccia; la più esterna è formata da elementi vegetali stilizzate ad esse; la centrale da un elemento a denti di lupo; la più interna da una ghirlanda di fogliette ovali, collegata da cerchi contenenti dei fiori quadripetali; gli angoli dell’ambiente sono occupati da quadrati contenenti dei busti di personaggi: ne restano solo tre, tutti purtroppo privi della testa che però si presentata aureolata; di una delle figure, sicuramente maschile, resta la spalla destra, coperta da un mantello in stoffa rosso-violacea, con il solito motivo ad ottagoni sovrapposti,mantello che copre una tunica bianca ricamata con una lunga clave a motivi vegetali; il secondo busto potrebbe essere sia maschile che femminile; su una tunica rosata manicata che copre il braccio destro, è un mantello drappeggiato, fissato sulla spalla da una fibula rotonda; del terzo personaggio resta solo parte della spalla sinistra; gli spazi interni al tessuto musivo sono riempiti da figurine diverse: elementi geometrici, motivi vegetali stilizzati, vasi, uccelli, figurine maschili con armi.
L’altro ambiente laterale presenta, entro una cornice a treccia a capi allentati, un tappeto a fitta stuoia in bianconero, perfettamente conservato.

Il vestibolo, ovvero la sala di attesa per essere ammessi nell’aula absidata, è un ambiente rettangolare di metri 5,5 x 7,5, e presenta un mosaico con una raffigurazione che, da sola, rende particolarmente interessante l’intero complesso di via Dogana. Vi sono presenti diverse figure, con i singoli particolari resi in modo caratteristico e diversi tanto che si possono distinguere almeno tre diverse mani di mosaicisti.
In questo mosaico, entro una treccia a capi allentati, erano disposti originariamente 20 quadrati minori, circondanti quello centrale che ha dimensioni corrispondenti a quattro dei quadrati minori. Restano 16 dei quadrati minori, conservati integralmente o variamente lacunosi. Nei quadrati recuperati vi sono raffigurati una figura femminile ignuda seduta su un delfino, tre figure femminili in piedi ed una seduta su un trono. Sono inoltre rappresentati quattro uomini adulti, barbati, tunicati, in piedi, cinque soldati di cui tre con corazza e due ignudi con mantello e attribuiti diversi.
Nel pannello centrale, entro una treccia a torsione, il quadro più grande presenta una scena di non facile interpretazione. Al centro è un giovane ignudo seduto frontalmente su un seggio con piedi a zampa di leone; è biondo, con capelli sciolti sulle spalle, aureolato, con testa leggermente di tre quarti verso sinistra, corpo rivolto a destra e ginocchia piegate, con la destra più in alto della sinistra; tiene con la mano sinistra un’asta e con la destra indica forse una figura femminile che sembra stargli quasi davanti; indossa alti calzari annodati ed un mantello purpureo che, tenuto da una fibula circolare, gli copre la spalla sinistra e scende in pieghe fra le gambe, coprendo il pube; ai suoi lati, leggermente arretrati, si dispongono simmetricamente due soldati in corazza, elmo e mantello, uno dei quali tiene un’asta; ai suoi piedi, davanti al trono, sono una corazza e due scudi di forma diversa, sovrapposti.
A destra della figura centrale è raffigurato, come già detto, un personaggio femminile, frammentario, volto verso il centro della scena: la donna ha capelli raccolti sulla testa e ornati di perle, sembra indossare una tunica e porta al capo la mano destra; a sinistra è una figura di vecchio in piedi, volto verso il centro della scena e appoggiato ad un bastone inserito sotto l’ascella sinistra; l’uomo ha lineamenti accentuati e una lunga barba grigia divisa in due punte; il suo abbigliamento e di tipo “orientale”: indossa un copricapo a cappuccio ornato da una appendice che si piega sulla sommità e sulla nuca, un mantello fissato sul petto da una fibula rotonda, una tunica al ginocchio, stretta in vita, oranta da ricami ai polsi e sul davanti, calze o brache aderenti ornate sul davanti da una linea di riquadri ricamati, scarpe chiuse o babbucce cine bek tradizionale abito frigio; le vesti del vecchio presentano una notevole policromia ed è decisamente in contrasto con l’abbigliamento degli altri personaggi raffigurati; indipendentemente dalla figura principale, in nudità erocia, le altre persona raffigurate vestono tutte secondo schemi più o meno “classici”: i soldati hanno corazze ed elmi di tipo romano, le donne hanno tuniche cinte sui fianchie sotto il seno, ornate di fibule e cinture ed indossano bracciali ed ornamenti di perle ai capelli, gli uomini hanno semplici tuniche al ginocchio; la figura del vecchio vuole quindi proporsi come antitetica fra le altre; si aggiunga che le altre figure dei riquadri si presentano o con gesti declamatori o deprecatori, a volte in violento movimento, mentre il vecchio sembra dare una immagine di stanca rassegnazione o di attesa.
L’ipotesi più verosimile, proposta da Maria Grazia Maioli sulla mostra Archeologia a Faenza del 1990, porta a leggere la scena come rifribile al mito di Achille. In questo caso il mosaico faentino potrebbe raffigurare una sintesi dei vari episodi del mito dell’eroe. Secondo questa ipotesi nel riquadro centrale la figura femminile può essere interpretata come Briseide, e sarebbe quindi spiegato il suo gesto di sconforto, la figura del vecchio potrebbe essere identificata come il re Priamo, venuto a richiedere il corpo del morto Ettore; il tipo di vesti porta infatti a considerare il personaggio come qualcuno di non greco e, come già detto, orientale, secondo un modo di raffigurare consono alla mentalità tardo antica.
Tra le figure di contorno in questa ipotesi si può riconoscere nella donna sul delfino la Nereide Teti, madre dell’eroe.

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