Contenuto principale
La Facciata
Basilica Cattedrale di Faenza
La facciata è di muro grezzo mai completata ed è formata da cinque corpi di diversa alzata, spartiti da lesene con l’apertura di tre portali.
I mattoni della facciata sono stati collocati secondo un sistema “dentato” che avrebbe dovuto facilitare la copertura con un rivestimento mai realizzata. Il “non finito” che caratterizza la facciata non la danneggia ed anzi, per certi versi, la valorizza. Del resto sono molte le facciate di importanti chiese quattrocentesche mai finiti. Tali sono il Tempio Malatestiano di Rimini, S.Petronio a Bologna e diverse chiese a Firenze.
Il basamento marmoreo è dei primi decenni del Cinquecento ed è probabilmente una aggiunta diversa dall’idea originaria, che peraltro non si conosce, elaborata da Giuliano da Maiano per il completamento della facciata.
Sulla facciata sono presenti anche quattro lapidi descritte nelle schede di approfondimento.
Lungo le facciate laterali del Duomo è possibile apprendere una piccola lezione di geologia.
Lungo la base di ognuna delle due facciate laterali sono infatti visibili tanti blocchi che formano una fascia posta all'altezza massima di due metri (quindi visibile da tutti anche a piedi).
Questa fascia è composta di blocchi in spungone, ovvero una pietra locale (che si trova ancora oggi nelle colline dal fiume Senio al Montone, specie nella zona di Ceparano) che risale a 3 milioni di anni fa.
La particolarità di questa pietra è la presenza di molti reperti fossili di conchiglie, visibili anche nei blocchi in opera nel Duomo.
Lo spungone infatti si è formato grazie alla sedimentazione progressiva di conchiglie in un fondale marino luminoso e ossigenato (com'era un tempo il mare che ricopriva l'intera Pianura Padana).
Data la disponibilità a pochi chilometri dalla città, questa pietra venne utilizzata anche dai Romani, e in seguito anche nella Chiesa del Suffragio in Corso Mazzini, nel Duomo (in minima parte) e in altri palazzi nobiliari.
Il nome deriva dal dialetto: la pietra è infatti molto spugnosa, e da qui è nato il nome che ora la caratterizza anche scientificamente.