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Cappella della Beata Vergine delle Grazie - Iconografia
Probabilmente intorno al 1510, l’immagine affrescata subì la mutilazione della metà inferiore del corpo e della parte terminale delle braccia, cosicché le mani della vergine con i dardi spezzati andarono perdute. Certamente non si può dubitare della loro esistenza, in quanto anche le più antiche raffigurazioni della Beata Vergine faentina conservate in diocesi (dipinti, ceramiche e stampe devozionali), la ritraggono con in mano le frecce spezzate.
Tale elemento figurativo fa sì che l’originaria immagine della Madonna delle Grazie presenti un’iconografia del tutto singolare e poco attestata al di fuori del territorio faentino: infatti la Vergine aveva le braccia distese, non per sostenere i lembi del mantello- come nell’iconografia della madonna della Madonna della Misericordia- bensì per afferrare le frecce spezzate, a traduzione figurativa del racconto dell’apparizione della Vergine.
Un’iscrizione a caratteri gotici correva tra la mano e la spalla destra nonché tra la spalla e la mano sinistra; nonostante i pochi elementi rimasti, mons. Francesco Lanzoni ne ricostruì il testo:
Se manderò la pestilenza fra il mio popolo
E il mio popolo alla sua volta farà penitenza,
gli occhi miei saranno aperti e le mie orecchie erette
all’orazione di colui che pregherà in questo luogo.
Il brano è tratto dalla Bibbia e nella versione integrale recita: Si clàusero caelum, et pluvia non flùxerit, et mandàvero et praecépero locùstae ut dévoret terram et misero pestiléntiam in pòpulum meum, convérsus autem pòpulus meus, super quos invocàtum est nomen meum, deprecàtus me fùerit et exquisìerit fàciem meam et égerit paenitentiam a viis suis péssimis, et ego exàudiam de caelo et propìtius ero peccàtis eòrum et sanàbo terram eòrum (2 Cronache,7,13-15).
Nell’indagare l’affresco Anna Tambini ha colto, nella caratterizzazione tardogotica della Vergine, un ideale di bellezza aristocratica nella morfologia del volto, con l’alta fronte scoperta e i capelli liberi dal velo - unitamente ad una raffinata preziosità materica - nella corona e nel fermaglio gioiello, realizzati con pastiglia dorata. Secondo il parere della studiosa tali accenti figurativi e stilistici, che prima del restauro del 2006 (curato da Maria Letizia Antoniacci) erano rapportati all’ambito veneto sembrano piuttosto far capo alla pittura bolognese-ferrarese, evidenziando una più stretta relazione con i modelli di Giovanni da Modena. A pochi anni dall’esecuzione dell’affresco oggi in cattedrale, lo stesso soggetto della madonna delle frecce venne dipinto su una tavola (1450 ca.) ora conservata nella collegiata di San Michele a Brisighella.
Sino agli anni sessanta del Novecento l’Immagine della Madonna delle Grazie era ricoperta da un velo che, tagliato a pezzettini, veniva distribuito ai fedeli unitamente a piccole immagini con la scritta “Particella del velo che per molti anni servì a coprire l’Immagine della B.V.delle Grazie”. Coperta dal velo, la sacra Immagine era conservata nell’apposita nicchia dell’ancona; davanti alla nicchia era posto un paliotto in tessuto con un ovale intagliato chiuso da una tendina in tela ricamata. La sacra Immagine rimaneva coperta per un anno; solamente il volto, visibile tramite l’ovale, era scoperto il giorno della festa la seconda domenica di maggio e il 4 aprile, ricorrenza del voto.
(P. Capitanio, Maria protettrice della nostra gente. I santuari e le devozioni mariane nella Diocesi di Faenza-Modigliana, Carta Bianca Editore, 2012, pp. 22-32)